“Colpevole di essere italiano”, scoperta la tomba di uno dei naufraghi dell’Arandora Star: deportati da Londra nel 1940 perché considerati fascisti. La Repubbica

“Colpevole di essere italiano”, scoperta la tomba di uno dei naufraghi dell’Arandora Star: deportati da Londra nel 1940 perché considerati fascisti. La Repubblica. 25.09.2023. Enrico Franceschini

LONDRA – Questa è la storia di un italiano arrivato in Inghilterra prima della Seconda guerra mondiale e disperso in mare ottantatré anni fa. Se fosse un romanzo o un film potrebbe essere l’ultima scena: non proprio il lieto fine, ma perlomeno un finale che permetterà ai discendenti di portare un fiore sulla sua tomba. E di aggiungere una pagina alla tragedia dell’Arandora Star, la nave inglese che nel 1940 stava deportando in Canada centinaia di immigrati italiani, considerati potenziali complici del fascismo, quando fu colpita dal siluro di un sommergibile tedesco e affondò nelle acque dell’Atlantico.

Il sepolcro in questione è una semplice croce di legno nel piccolo cimitero di Girvan, cittadina di 6 mila abitanti sulla costa della Scozia, a sud di Glasgow. Nel giugno scorso ricercatori del posto hanno scoperto che, sotto la nuda terra del camposanto, è sepolto Francesco D’Inverno, un italiano emigrato da giovane a Londra, dove lavorava come cameriere in un albergo e dove nel 1939 si era sposato con la connazionale Ginevra nella St. Peter’s Church di Clerkenwell, la chiesa cattolica allora e ancora oggi punto di ritrovo della nostra comunità nella capitale. Ma nel 1940, quando l’Italia entrò in guerra, la polizia bussò alla porta della sua abitazione al 57 di King’s Cross Road, non lontano dalla chiesa dove era stato celebrato il loro matrimonio.
L’entrata in guerra dell’Italia fascista al fianco della Germania di Hitler aveva infatti allarmato il governo britannico sul comportamento di migliaia di immigrati dal nostro Paese, la cui possibile fedeltà a Mussolini avrebbe potuto rappresentare un pericolo per Londra. Così le autorità decisero di arrestare tutti gli uomini di nazionalità italiana: ben 160 mila vennero internati in campi di prigionia e campi di lavoro. In realtà, nella stragrande maggioranza erano giudicati apolitici, non si temeva che fra loro ci fossero veramente spie o sabotatori: tanto è vero che per lo più furono utilizzati nell’agricoltura e nell’edilizia, anche per supplire alla mancanza di manodopera per l’arruolamento di tutti i cittadini britannici di sesso maschile dalla maggiore età in su. Un internamento di massa analogo, ma con condizioni di detenzione più severe, fu intrapreso negli Stati Uniti contro gli immigrati giapponesi dopo l’attacco nipponico a Pearl Harbour che distrusse la flotta Usa nel 1941.
All’inizio dell’operazione nel Regno Unito si pensò di deportare gli italiani lontano dal fronte, in altri paesi del Commonwealth, colonie o ex-colonie britanniche, un progetto in seguito abbandonato per le spese eccessive che comportava. L’Arandora Star, una nave passeggeri usata per trasportare truppe nei primi mesi della guerra, salpò così da Liverpool il 30 giugno 1940 con a bordo 734 internati italiani, 479 internati tedeschi, 87 prigionieri di guerra tedeschi, 220 guardie militari inglesi e un equipaggio di 174 marinai. Era diretta nella penisola canadese di Terranova, dove gli internati e i prigionieri sarebbero stati detenuti per l’intera durata del conflitto. Il 2 luglio, quando era al largo della costa irlandese, l’Arandora fu colpita dal siluro di un sottomarino U-47 tedesco, evidentemente non a conoscenza del carico, convinto che la nave trasportasse soldati britannici. Fra le scialuppe di salvataggio e il sopraggiungere di imbarcazioni di soccorso, qualche centinaio di passeggeri riuscirono a sopravvivere. Ma i morti furono più di 800. Fra loro, Francesco D’Inverno. Aveva 38 anni.

Nei giorni e nelle settimane successive, trasportati dalla corrente marina, i corpi di decine e decine di vittime giunsero sulle coste dell’Irlanda e della Scozia. Molti non erano riconoscibili, ma qualcuno sì, grazie a piastrine di identificazione legate al collo. In ogni modo, non sapendo come contattare eventuali familiari, con la guerra che infuriava e il nazismo alle porte della Gran Bretagna, le autorità locali si limitarono generalmente a dare loro sepoltura, con uno spartano rito funebre, spesso in tombe senza nome. Il corpo di D’Inverno fu trasportato dal mare sulla spiaggia di Girvan, nel cui cimitero fu sepolto, anch’egli in una tomba anonima. I funzionari locali, tuttavia, erano riusciti a stabilirne l’identità, che finì in un registro comunale di morti e sepolti. Ed è lì che all’inizio di questa estate è stato scoperto il suo nome, nell’ambito di una ricerca condotta dal Girvan District Great War Project, un centro studi sui caduti di guerra.
A quel punto è iniziata la caccia a eventuali parenti. Ricostruita la vita di D’Inverno prima del fatale viaggio in nave, i ricercatori scozzesi hanno lanciato messaggi in tutte le direzioni, uno dei quali ha raggiunto l’Islington Tribune, un settimanale londinese gratuito, distribuito nel quartiere che comprendeva anche il suo ultimo indirizzo prima della deportazione. “Abbiamo ritrovato Francesco”, ha titolato il Tribune in prima pagina, “aiutateci a trovare i suoi discendenti”. E dopo un po’ i discendenti sono saltati fuori.

Il figlio di Francesco, Alfredo D’Inverno, si era sposato con un’immigrata di nome Doris Tasselli, la quale è ancora viva. “Mia suocera Ginevra D’Inverno avrebbe avuto enorme sollievo, se avesse saputo che c’era almeno una tomba su cui andare a pregare per il marito”, ha raccontato la donna, 94enne, al giornale di Islington, “sarebbe corsa in Scozia per portargli un fiore”. Una nipote, Charlotte Tasselli Arnold, riferisce che la famiglia è rimasta “scioccata” quando qualcuno ha telefonato con la notizia del ritrovamento della tomba: “Apprendere che Francesco ricevette sepoltura e un rito funebre cattolico ci ha confortati. Pensavamo che si fosse inabissato nell’Atlantico con le altre vittime. Per noi questa scoperta ha cambiato completamente il finale della storia”.
Una storia da romanzo e non per nulla sulla vicenda dell’Arandora Star ne è già stato scritto uno, “Nessuno può fermarmi”, di Caterina Soffici, giornalista e scrittrice italiana residente a Londra, pubblicato da Feltrinelli nel 2017. Ora vi si può aggiungere un’ultima pagina. Per il momento i discendenti di Francesco D’Inverno hanno inviato a Girvan una vecchia foto in bianco e nero, che lo ritrae insieme ad altri familiari: è stata affissa alla sua croce nel cimitero. E hanno aperto una sottoscrizione sul web, con l’obiettivo di raccogliere 5 mila sterline, i fondi necessari per porre una lapide sulla sua tomba. Dopo un’attesa durata ottant’anni, presto andranno in Scozia a dare l’estremo saluto a un italiano che si credeva disperso in mare.
 

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