Convegno sull’autore parmense Antonio Gallenga. Il programma

GALLENGA ANTONIO CARLO NAPOLEONE
Parma 4 novembre 1810-The Falls Llandogo 17 dicembre 1895
Nacque da Celso, ex ufficiale napoleonico di origine piemontese, e da Marianna Lombardini. Orfano presto di madre, dal padre, che inseguiva il mito della rivoluzione a fianco dei Greci insorti, fu affidato a uno zio materno che ne curò la prima educazione. Gli studi, compiuti nelle scuole pubbliche, rivelarono in lui, insieme con un’intelligenza vivace, una certa attitudine per i classici, ma dovettero essere interrotti dopo l’iscrizione alla facoltà di medicina per le conseguenze della effimera insurrezione parmense del 1831, cui il Gallenga partecipò con tutta l’irruenza e la risolutezza del giovane cresciuto nel clima di un romanticismo dalle risonanze byroniane. Fuggitivo in Toscana e poi esule a Marsiglia e in Corsica, sull’esempio di L.A. Melegari, che aveva organizzato la congrega mazziniana di Parma, si affiliò alla Giovine Italia col nome di battaglia di Procida. Entrò subito in uno stato di ulteriore esaltazione che lo rese insofferente di ogni indugio e che, parallelamente alla sanguinosa repressione antimazziniana che intanto aveva luogo in Piemonte, gli fece concepire l’idea di un gesto dimostrativo che suonasse come principio di rivolta per tutta la penisola. Maturò così in lui il progetto di una attentato al re di Sardegna Carlo Alberto di Savoja e, per attuarlo, chiese e ottenne di poter passare in Francia meridionale (luglio 1833). Da Tolone il Gallenga si recò a Ginevra e vi incontrò il Mazzini al quale strappò un sostegno organizzativo al proprio disegno. Una volta a Torino, però, vuoi per l’oggettiva difficoltà dell’esecuzione, vuoi per l’insostenibile peso di una responsabilità assunta troppo precipitosamente, il coraggio gli venne meno: riguadagnata per la via di Genova la Toscana (ottobre 1833), il Gallenga si portò ancora più a sud nella primavera del 1834 quando, assunto come precettore di un giovane diplomatico napoletano, lo seguì a Malta e poi a Tangeri, dove restò fino all’estate del 1836. L’intraprendenza, la personalità, una certa comunicativa e una cultura fatta di assidue letture e di viaggi nei paesi del Mediterraneo costituirono in questi anni la sua principale risorsa, ma non placarono l’ansia che pareva tormentarlo facendogli desiderare sempre nuove mete. Quella che scelse nell’agosto del 1836 imbarcandosi a Gibilterra era tra le più lontane possibili: sbarcato infatti a New York il 7 ottobre, si stabilì a Boston ove si servì delle commendatizie fornitegli da un diplomatico americano per entrare nel giro degli intellettuali, particolarmente sensibili, grazie all’influsso di H.W. Longfellow e di R.W. Emerson, al fascino della classicità e dunque ben disposti verso la cultura europea e i suoi rappresentanti. Impadronitosi presto della lingua, il Gallenga strinse molti contatti (a esempio con lo storico W.H. Prescott), sebbene non giungesse mai a integrarsi in pieno in un ambiente che, pur accettandolo, non soddisfece la sua aspirazione a ottenere una cattedra di italiano a Harvard: ebbe però altre occasioni di lavoro (come le lezioni di italiano o l’insegnamento in un collegio femminile di Cambridge) e di elevazione intellettuale, come le conferenze, le letture dantesche e, dal 1838, alcune salturarie collaborazioni alla North American Review, sulla quale pubblicò un saggio (Romantic poetry in Italy) che, riecheggiando temi mazziniani, sottolineava i contenuti di rigenerazione morale e civile della letteratura italiana dall’Alfieri in poi. Sempre nel 1838 uscì a Cambridge un suo volume di Romanze, novelle in versi da cantare sulle arie del melodramma, genere col quale le Romanze hanno in comune l’impronta passionale e il timbro stilistico, nonché la propensione a fissare uno stereotipo di facile godibilità e consumo. Restava però la frustrazione delle ambizioni universitarie e si faceva forse sentire anche il peso della nostalgia. Così il 1° maggio 1839 il Gallenga si risolse al ritorno e, imbarcatosi a New York, un mese dopo era a Londra. Preso contatto con gli esuli italiani, ne ricevette qualche soccorso e l’introduzione nei salotti degli italofili inglesi. Molti, sapendolo vicino al Mazzini col quale aveva ritrovato un rapporto fatto di cordialità e in parte di sintonia anche ideologica, gli espressero la loro considerazione, altri, tra cui lady Sidney Morgan, lo aiutarono a trovare incarichi di traduttore e possibilità di accesso alle riviste londinesi di attualità culturale. Tra il 1839 e il 1841 il Metropolitan Magazine, la Foreign and Quarterly Review, la Westminster Review e la British and Foreign Review ospitarono moltissimi suoi articoli. Firmati con lo pseudonimo Luigi Mariotti, che il Gallenga aveva adottato all’inizio dell’esilio e che conservò fin verso il 1853, toccarono svariati argomenti, sebbene il tema fosse in realtà uno solo: quello dell’Italia e dei suoi travagli visti da un esule (tale elemento è sempre sottolineato nei titoli) attraverso il prisma, talora impressionistico, di un imprescindibile rapporto tra storia, vita civile e letteratura. Rielaborati e fusi in un disegno più ampio, furono poi pubblicati col titolo Italy , general view of its history and literature (I-II, London, 1841; ma vide la luce anche una ristampa intitolata Italy, past and present, London, 1841, e, in traduzione tedesca, Lipsia, 1846). Contemporaneamente, dopo una rapida riapparizione a Firenze nella primavera del 1840, iniziarono le collaborazioni ad alcune riviste di G.P. Vieusseux: nel complesso quella del Gallenga era un’esistenza che non conosceva soste ma che continuava a lasciare irrealizzata la speranza di un incarico di prestigio in ambito accademico. All’inizio del 1842 tornò nel Nordamerica, attrattovi dalla promessa di una cattedra di lingue e letterature moderne a Windsor, nella Nuova Scozia, ma dopo un solo anno, deluso dal livello del college, si dimise. Al ritorno a Londra lo attendeva la solita vita di sacrifici. Poco gratificato sul piano economico dall’attività pubblicistica, il Gallenga conseguì invece un buon successo sociale grazie alla naturalezza con cui si muoveva, avendo ormai interiorizzato comportamenti e modi di pensare assai vicini a quelli inglesi. Dalla Giovine Italia gli vennero le maggiori sollecitazioni a non tralasciare la politica: il Gallenga rispose dando una mano nella scuola italiana del Mazzini o adoperandosi per difendere l’immagine di costui al tempo della polemica sull’apertura della sua corrispondenza, ma soprattutto impegnandosi in un lavoro pubblicistico col quale si riprometteva di ottenere dagli Inglesi una migliore conoscenza e quindi una migliore disponibilità verso le cose italiane, anche a costo di ricorrere a quei generi (le poesie di Oltremonte e oltremare, London, 1844, o i racconti di The Blackdown papers, London, 1846, e di Scenes from Italian life, London, 1850) che ne accentuavano l’innata vocazione alle coloriture fantastiche, al folklore e alle rappresentazioni di maniera. Lo riportò a uno stato d’animo più militante l’evoluzione interna dell’Italia prequarantottesca, che gli ispirò un nuovo Italy, past and present (I-II, London, 1848), in cui, nella ripresa di tematiche e impostazioni svolte a partire dal 1843 in una serie di articoli per il New Monthly Magazine di Londra, la novità è rappresentata dal rilievo che nello sviluppo della civiltà italiana è assegnato al Mazzini e al suo principio di nazionaltà. Parve l’avvio di un legame più forte, consolidato per di più dalla presenza del Gallenga a fianco del Mazzini nell’Associazione nazionale italiana e poi dalla partenza (27 marzo 1848) e dal viaggio compiuto insieme attraverso la Francia. Invece, appena in Italia, i due si separarono e il Gallenga si diresse a Parma dove si fece subito sostenitore della fusione del Ducato con il Piemonte, attuata di lì a poco col voto del 20 maggio 1848. Totalmente acquisito alla causa sarda, nell’agosto del 1848 prese a collaborare con il quotidiano torinese Il Risorgimento, si candidò alle elezioni politiche, addirittura abbandonò l’unitarismo fin allora professato per abbracciare il progetto federativo del Gioberti e venne compensato dal governo Alfieri con il conferimento di una missione diplomatica a Francoforte, dove arrivò il 2 ottobre 1848. Secondo le istruzioni, doveva perorare presso l’Assemblea nazionale tedesca la causa dell’indipendenza italiana. Prese invece l’iniziativa di proporre un’intesa austro-sarda che abbandonava al loro destino la Lombardia e i Ducati rendendo vana la mediazione di Francia e Inghilterra e provocandone il risentimento. Il 6 dicembre 1848 Torino gli comunicò la fine immediata della missione. Per riprendere quota, da un lato si staccò definitivamente dal Mazzini, non senza prima aver tentato di convincerlo a spostarsi su una linea di realistica accettazione dell’egemonia moderata. Non avendo ottenuto successo, consegnò un ampio lavoro su Italy in 1848 (London, 1851), un impietoso atto di accusa contro gli indirizzi seguiti sino ad allora dalla democrazia. Per un altro verso, rientrato a Londra, mentre trovava un posto di docente al London University College (vi insegnò per circa un decennio, fino al 1859) e lavorava a una grammatica italiana che, uscita nel 1851, venne ripubblicata nel 1854 col titolo di Mariotti’s Italian Grammar (ebbe ben quattordici edizioni fino al 1883), elaborò anche un progetto pubblicistico che, tenendo d’occhio la situazione interna del Piemonte, puntava in sostanza a rafforzarne la posizione internazionale e a rappresentarne gli ultimi sviluppi costituzionali come la base per una futura politica nazionale. Così, dopo la pubblicazione di una Historical memoir of fra Dolcino and his times (Londra, 1853), di evidente intonazione antiromana, apparve la ben più impegnativa History of Piedmont (I-III, London, 1855-1856; traduzione italiana Storia del Piemonte dai primi tempi alla pace di Parigi del 30 marzo 1856, I-II, Torino, 1856): molto apprezzata negli ambienti governativi
torinesi che avevano, su invito del Cavour, facilitato le ricerche del Gallenga, l’opera fu giudicata dalla democrazia repubblicana come il lavoro di un uomo che si era venduto alla causa monarchica. Intanto il 20 agosto 1854 era risultato vincitore nell’elezione suppletiva nel collegio di Cavour: ne conseguirono il trasferimento a Torino e la solerte partecipazione ai lavori della Camera subalpina, su posizioni prossime a quelle del Cavour ma con un atteggiamento generalmente critico fino alla saccenteria verso uomini, istituzioni e assetti sociali giudicati troppo distanti dal modello ideale inglese. Senonché nell’ottobre del 1856 la carriera parlamentare del Gallenga si interruppe bruscamente per un incidente da lui stesso provocato con un incauto accenno nella History of Piedmont al mancato attentato del 1833: accusato dal Gallenga di esserne stato il mandante, il Mazzini si difese efficacemente con una lettera a F. Campanella che, accolta nell’Italia e Popolo di Genova del 25 ottobre 1856, costrinse il Gallenga ad ammettere le proprie responsabilità e quindi a dimettersi dal Parlamento restituendo la croce di cavaliere mauriziano da poco conferitagli. Il biennio seguente lo trovò ancora a Londra. Nel 1847, naturalizzatosi inglese, sposò a Manchester Juliet Schunk, figlia di un ricco industriale tessile di origine tedesca, che morì nel 1855 dopo avergli dato due figli. Nel 1858 fu la volta dell’irlandese Ann Johnstone, che lo rese padre altre due volte. Il Gallenga si era dunque integrato pienamente nella società inglese e nella sua mentalità, ma a gratificarlo davvero fu l’assunzione a The Times in qualità di corrispondente estero e di inviato, il che realizzò alcune tra le sue massime aspirazioni: entrare in un’istituzione di prestigio internazionale, girare il mondo e formare l’opinione pubblica di un paese avanzato sui temi più scottanti della politica estera. Banco di prova di questa nuova esperienza fu ovviamente l’Italia degli storici eventi del 1859-1860 che il Gallenga seguì passando di volta in volta da Firenze a Torino, da Roma a Palermo e a Napoli: i suoi umori non sempre stabili erano in questa fase quelli di un unitario ostile all’ingerenza francese in Italia e favorevole all’avvento di una monarchia nazionale capace di gestire una transizione socialmente equilibrata impiantando un regno il più vicino possibile al modello inglese, comunque insuperabile. Vicino ormai alla Destra, nel 1860 e nel 1861 fu rieletto alla Camera prima subalpina e poi nazionale (VII e VIII legislatura) nei collegi di Castellamonte e Langhirano e nei lavori parlamentari denotò un forte spirito antirattazziano e ancor più antidemocratico, fin quando non riprese il lavoro di inviato: allora fu prima negli Stati Uniti della guerra civile (1863), poi nella Danimarca della guerra contro la Prussia (1864), quindi a più riprese (1865-1866 e 1868-1869) nella Spagna della crisi della monarchia borbonica e della successiva rivoluzione. Il Gallenga veniva così mettendo a punto uno stile giornalistico che, calibrato soprattutto sugli eventi bellici e sulle grandi transizioni, univa a una buona visione complessiva delle forze in campo e dei rispettivi interessi la vivacità brillante e le intuizioni felici di una prosa fatta apposta per indurre il lettore a vedere nelle posizioni del Times quelle dell’Inghilterra (e viceversa). Ciò avvenne anche con le guerre combattute dalla Prussia nel 1866 e nel 1870-1871, che il Gallenga seguì con i suoi editoriali da Londra, poi riprese a viaggiare e nel 1873 si spinse fino a Cuba, cui dedicò il volume The pearl of Antilles (London, 1873; traduzione italiana, Milano, 1874), mentre sul finire del 1875 fu a Instanbul per seguire la crisi d’Oriente. Periodicamente tornava in Italia per dedicare lunghe corrispondenze al sistema politico del paese, alle sue condizioni di vita e ai rapporti Stato-Chiesa: ma i molti viaggi compiuti a Roma tra il 1873 e il 1875 e tra la fine del 1877 e l’aprile del 1878, oltre a fornirgli le cronache per Italy revisited (I-II, London, 1877) e di The pope and the king (London, 1879), accrebbero il suo pessimismo di fondo e stimolarono le sue tirate moralistiche sull’arretratezza di una società ritenuta disordinata perché preda delle suggestioni demagogiche e dunque antitetica al suo ideale vittoriano. Alla luce di questo schema il Gallenga continuò a osservare la realtà italiana fino alla metà degli anni Ottanta, inviando alla Nuova Antologia (1883) e alla National Review contributi di un pessimismo esasperato, nei quali la denunzia delle turbolenze di una democrazia non equilibrata dalla presenza di un’aristocrazia di stampo inglese apre la strada a frequenti suggestioni di carattere autoritario. Tutto sommato, il Gallenga migliore resta quello meno accigliato dei grandi reportages di viaggio, spesso destinati a essere raccolti in volume: da quello del 1879 in Spagna nacquero le Iberian reminiscences (I-II, London, 1883), da una lunga circumnavigazione dell’America del Sud nel 1879-1880 South America (London, 1880), giudicato il capolavoro del Gallenga viaggiatore (Garosci, 599) e dal viaggio in Russia dell’estate del 1882 A Summer tour in Russia (London, 1882; traduzione italiana, Parma, 1883). La vena comunque tendeva a esaurirsi e la stanchezza si rifletteva sulla qualità dell’osservazione e del racconto: il Gallenga ripiegò allora sulla narrazione della propria avventurosa esistenza, tornando al tema trattato molti anni prima nell’Autobiographical sketch illustrative of Italian life during the insurrection of 1831 (London, 1854, pubblicato con lo pseudonimo di Castellamonte che nell’edizione del 1856, ove il Gallenga figura come autore, diventò il titolo del libro), e tra il 1884 e il 1885 affidò al consueto editore londinese, Chapman & Hall, i due volumi degli Episodes of my second life (2a edizione, Philadelphia, 1885), dedicati il primo al periodo americano e il secondo all’arco di anni dal 1839 al 1880. La personalità del Gallenga vi campeggia in tutta la sua complessità e in una gamma di sfumature che comprendono la sincerità, lo sforzo di autocoscienza, l’egotismo e la presunzione di sé. Non mancano le imprecisioni della memoria, ma predomina la voglia di mettersi a nudo, e proprio di qui, dal racconto troppo indiscreto che il Gallenga volle fare delle vicende interne del Times, derivò la sua caduta in disgrazia presso la proprietà del giornale, che il 6 dicembre 1884 gli comunicò per lettera il licenziamento in tronco. Per reagire allo sconforto si diede addirittura al romanzo (Jenny Jennet, I-II, London, 1886, che meritò un’ironica recensione di O. Wilde; nonché, postumo, Thecla’s vow, London, 1898), ma dall’Italia non riusciva a staccarsi, sia pure per dedicarle l’amaro e sconsolato bilancio de L’Italia presente e futura, con note di statistica generale (Firenze, 1886; traduzione inglese, I-II, London, 1877), in cui le grandi aspettative dell’Unità sono messe a confronto con le meschine realizzazioni di una classe politica che un Gallenga più moralista che mai ritiene del tutto inadeguata al compito di edificare uno Stato. Instancabile malgrado l’età, nel 1888 accettò di inviare articoli alla Nazione di Firenze (poi raccolti in Vita inglese, Firenze, 1890), stavolta per raccontare le caratteristiche del popolo che lo aveva ospitato. Fu solo con il ritorno al potere del Crispi che la sua sfiducia nella liberaldemocrazia parve quietarsi. Il Gallenga si ritirò infine a vivere in campagna con la moglie semiparalizzata.
FONTI E BIBL.: Molto approfondita in quanto frutto di un imponente lavoro di ricerca bibliografica e archivistica è la biografia che al Gallenga dedicò A. Garosci, Antonio Gallenga. Vita avventurosa di un emigrato dell’Ottocento, I-II, Torino, 1979, recante in appendice una bibliografia pressoché completa degli scritti del Gallenga e di quelli apparsi su di lui fino a quella data (altri titoli sono utilizzati nel testo e figurano solo nelle note). Integrazioni possibili sono quelle relative alle fonti, tra le quali: Documenti diplomatici italiani, s. I, II-III, X, Roma, 1959-1988, ad indices; s. 2, I, Roma, 1960, ad indicem; Le relazioni diplomatiche fra il Regno di Sardegna e la Gran Bretagna, s. 3, I, IV, a cura di F. Curato, Roma, 1964, ad indices; C. Cavour, Epistolario, VIII-XI, XIII-XIV, Firenze, 1983-1994, ad indices; Dal Piemonte all’Italia. Studi in onore di N. Nada, a cura di U. Levra, N. Tranfaglia, Torino, 1995, ad indicem. Tra le biografie sono utili quella inserita in Dictionary of national biography, XXII, Suppl., s.v., e quella di G. Monsagrati, in Dizionario biografico degli Italiani, 51, 1998, 534-538.

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