ROMEO MUSA. Pittore, xilografo, scrittore. (1882 – 1960). 2^ Parte

Se molteplice, varia e complessa fu l’attività artistica del Musa, non vi è dubbio che l’opera che più di tutto ne esaltò i pregi e la personalità fu il ricchissimo repertorio xilografico fissato in duemila pezzi, alcuni dei quali toccano un’altissimo vertice di contenuto estetico e di perfezione esecutiva. Paesaggio, figura e tavolette di ex libris nacquero dalla sua fervida fantasia di infaticabile creatore. Conobbe a fondo la botanica appenninica e scelse con occhio esperto gli alberi adatti (pero, noce, bosso) per ottenere tavole compatte e senza nodi, da rendere levigate come lastre di marmo. Il Musa seppe poi come scavare parallelamente o perpendicolarmente alle fibre del durame, secondo le esigenze del disegno e la complessa trama dell’intaglio dettata da una inesauribile vena creativa. Uomo colto, sensibilissimo poeta e scrittore, il Musa iniziò la sua attività ripercorrendo a ritroso il cammino dell’arte per studiare a fondo, insieme all’opera degli incisori locali, anche quella dei grandi cinquecentisti italiani e stranieri, da Dürer a Grien, da Stimmer a Moreelse, da Goltzins a Wechtlin. Poi ancora, in uno scorcio di secoli che porta all’età contemporanea, il Musa guardò a Mariette, Seur, Prestel, Rosaspina, Jackson e, più avanti, a Manet, Vibert, Verhaeren, Le Père Rivière, Colin, Paul, Beardsley, Nicholson, Brangwin, Klemm, Thiemann, Stoizner, Junqnickel, Marc, Pechestein, Picasso, Braque, Morandi e, in particolare, a de Carolis sperimentatore di nuove tecniche, che con l’autoritratto (1904) aprì nuovi orizzonti alla xilografia, pur nell’evidente ricordo dei chiaroscuristi antichi.
Ma pur scavando nel tempo e nell’opera dei maestri di ogni età, il Musa rimase sostanzialmente se stesso: un sottile vedutista e raffinato illustratore che contribuì, con estrema coerenza, alla rinascita del chiaroscuro nel travagliato, se pur fecondo, periodo novecentista. La lastra lignea del Musa nasce da un capzioso studio della composizione. Nell’intavolazione del quadro, gli elementi architettonici, paesaggistici e figurativi si fondono in un complesso intreccio prospettico. Le linee di fuga tagliano di preferenza il piano secondo quell’andamento diagonale che il Correggio introdusse nei capolavori sacri della maturità. Le due xilografie Vecchia Bedonia e Lungo il Pelpirana, che inquadrano luoghi caratteristici del mai dimenticato Appennino parmense, offrono una immagine quasi speculare di soggetti espressi attraverso una personalissima metodologia concettuale e operativa, costantemente riproposta nella consapevolezza della raggiunta unità di stile. Anche nella nitida inquadratura che coglie in primo piano Il suonatore d’organetto, l’incisiva ferita della sgorbia taglia, con la precisione di un bisturi nella mano del chirurgo, l’ampia superficie della composizione. Si delinea così un contrappunto di nitidi contrasti tonali che la sapiente pressione del torchio, sulla lastra inchiostrata, rende luminoso sulla pagina stampata.

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