IL CARDINALE ANTONIO SAMORE’ – 4^ E ULTIMA PARTE. (r)

IL CARDINALE ANTONIO SAMORE’ BARDIGANO BENEMERITO

 By Giuseppe Beppe Conti. – 4^ E ULTIMA PARTE

Essa finalmente si è conclusa con pieno successo e sembra che, grazie al Signore, continua ancora a ispirare azioni di amicizia e di pace tra le due nazioni. L’interlocutore del Cardinale Samorè ha certamente guidato i passi di quanti, adempiendo i mandati del Santo Padre e sotto l’immediata direzione del Signor Cardinale Agostino Casaroli, allora Segretario di Stato, coadiuvato dall’allora ecc.mo Monsignor Silvestrini, abbiamo avuto la gioia di partecipare alla firma del Trattato di Pace e di Amicizia e di vederlo poi ratificato dalle due parti interessate. Con senso di giustizia e con profonda soddisfazione, e quindi doveroso constatare che ciò che il Cardinale Samorè aveva ideato con perspicacia e profetica visione e per cui aveva speso senza riserve le energie della sua chiara mente e della sua ferma volontà, ha avuto quindi pieno compimento. L’omaggio che le Ambasciate di Argentina e di Cile presso la Santa Serle hanno voluto rendere., con questo atto al Circolo di Roma, è ancora una conferma dell’apprezzamento e della gratitudine delle loro Nazioni al grande Cardinale Samorè. Villa Nazareth Il rapporto del Card. Samore con Villa Nazareth nasce dalla consuetudine con il Card. Tardini, fin da quando, negli anni ’40, lavorava nel suo ufficio ed abitava con lui: Villa Nazareth nacque nel 1946, all’indomani della guerra. mons. Tardini si prodigava nell’aiutare varie istituzioni di beneficenza sorte per alleviare situazioni di povertà e di abbandono specialmente dell’ infanzia e vi faceva confluire cospicui aiuti di benefattori americani. Egli progettò un’istituzione sua, che accogliesse bambini orfani o figli di famiglie numerose, intellettualmente dotati e sprovvisti di mezzi, ai quali dare, una educazione. Continuando la tradizione del Card. Tardini, mons. Samorè propiziava la solidarietà di amici e benefattori e la collaborazione di docenti e uomini di cultura. Si interessava personalmente agli studi e alla vita degli studenti, con sacrificio, sensibilità e partecipazione profonde. Nell’estate 1968 questo rapporto subì una crisi ,che andò aggravandosi per tensioni che lo fecero molto soffrire e lo indussero a chiedere alla Segreteria di Stato di designare una commissione che studiasse i problemi dell’Istituto. Nel luglio del 1969 la commissione decise di sospendere le attività di Villa Nazareth, e fu li momento più doloroso per tutti e per lui: gli alunni della Media rientrarono in famiglia, mentre gli studenti universitari e quelli del ginnasio-liceo si riunirono volontariamente a Roma, in alcuni appartamenti, dando vita ad una comunità autogestita, col valido sostegno di mons. Silvestrini, della prof.ssa Angela Groppelli, e di amici autorevoli, fra i quali il Sostituto della Segreteria di Stato mons. Giovanni Benelli. Erano cinquanta ed i più grandi di età si posero come riferimento ai più piccoli, in un’esperienza di aiuto fraterno, di attenzione ad ogni persona, di proposta cristiana e di approfondimento culturale che permise a quasi tutti di portare a compimento gli studi liceali e universitari. Quando, dopo un decennio, i cinquanta furono laureati, emerse tra di essi II desiderio di attuare la parte più profonda dell’ideale del cardinale Tardini: restituire ad altri giovani il frutto dei propri talenti. Nel 1980 si costituì la Comunità Domenico Tardini che cominciò ad accogliere prima a via Dezza, e poi a via Palombini, i primi studenti. In questa iniziativa il cardinale Samorè colse subito, con aperta intuizione, il segno che Villa Nazareth stava per rinascere. Era già sofferente per la malattia e nel colloquio del 6 gennaio 1983 volle dare a mons. Silvestrini e alla Comunità il suo riconoscimento e la consegna ideale. In quello stesso anno Villa Nazareth risorse come collegio universitario, arricchito per la prima volta da un gruppo di studentesse. La Comunità prese cura anche della Scuola Media parificata che il Card. Samorè aveva creato a Villa Nazareth sotto la presidenza della sorella prof.ssa Jolanda, e che la comunità sviluppo per alcuni anni in un corso di ginnasio-liceo. II Carmelo di Vetralla Alla morte di Tardini (luglio 1961), succedendogli nella cura del monastero “Monte Carmela” di Vetralla, mons. Antonio Samorè mostrò per il monastero uguale premura ed interesse sia nelle case spirituali che materiali. Nel suo paterno rapportarsi alle carmelitane si manifestava in lui una profonda umiltà, che faceva vela alla cultura e ai meriti del laborioso servizio già prestato con disinteresse alla Chiesa. Desiderava che la comunità religiosa fosse animata da gratitudine per i benefici ricevuti dal card. Tardini e che non venisse mai meno alla spirito di donazione al Signore nella vita comunitaria; questo raccomandava specialmente nella celebrazione del terzo centenario di fondazione del monastero (1669-1969) quando aveva rinnovato la cappella delle monache secondo la riforma liturgica e vi aveva definitivamente sistemato la tomba del Card. Tardini impreziosendola con un artistico bassorilievo in bronzo raffigurante Cristo che ascende al cielo. Nella stessa tomba mons. Samorè aveva predisposto che alla sua morte fossero accolte le proprie spoglie. Nel 1971 collaborò con il Comune di Vetralla alla costruzione del muro di cinta della clausura e fece installare nella casa il riscaldamento centrale per la chiesetta, Le celle delle religiose e i luoghi dove la comunità si raduna per il lavoro e gli atti comuni. Costante la sua assistenza alle carmelitane con la parola, l’incoraggiamento e nuove iniziative, cooperando con generosità anche all’ esecuzione di altri lavori. Presso le Carmelitane il cardinal Samorè amava passare qualche giornata di solitudine, silenzio, ristoro spirituale. Lo fece anche alcuni giorni prima del suo ricovero in ospedale. Si

spense confidando nel ricordo di preghiera della comunità da lui tanto amata. Verso il traguardo Negli anni che seguirono la salute cominciò ad essere seriamente compromessa. Nell’ultimo periodo presagendo che il tempo si era fatto ormai breve ebbe modo di dire: “II Signore e misericordioso con me, mi sta avvertendo e mi da il tempo perché mi prepari”. Fino all’ultimo mostrò quella laboriosità che lo aveva sempre animato, anche nelle ultime settimane quando i medici glielo permettevano o eludeva la loco sorveglianza continuo a ricevere collaboratori, ambasciatori, ministri e amici. Alla fine di gennaio 1983 venne ricoverato alla clinica Villa Flaminia dove ricevette subito la telefonata del papa Giovanni Paolo II che si interessava della sua salute e lo ringraziava per quanto aveva fatto al servizio della Chiesa e della Sede Apostolica e in ultimo per la pace.In pochi giorni la situazione precipito e il 3 febbraio 1983, poco prima delle nove del mattina, spirava, erano al suo capezzale il cardinale Agostino Casaroli e pochi amici tra cui mons. Gabriele Montalvo e mons. Faustino Sainz. Le esequie si celebrarono nella Basilica di san Pietro presiedute da Giovanni Paolo II. Nell’omelia il papa disse: “il suo cammino fu tutto improntato alla freschezza e all’entusiasmo delle primizie presbiterali. I molti che lo hanno conosciuto, ed hanno avuto con lui qualche familiarità, ne hanno ammirato le virtù umane, cristiane e sacerdotali. di temperamento riservato e schivo, egli possedeva una straordinaria carica umana che s’imponeva per la vivacità dell’intelligenza, per la prudenza, per la larghezza del cuore. Il raccoglimento, la preghiera, la devozione all’Eucaristia e alla Madonna alimentavano in lui la fede, la speranza, carità e lo allenavano, alla infaticabile e fervida operosità, che fu pure una delle caratteristiche della sua non comune personalità”. Venne sepolto nella Chiesa del Carmelo di Vetralla accanto al cardinale Tardini. Conclusione Si concludeva così la giornata terrena di un uomo “non appariscente”, ma di sicura fedeltà a Cristo e alla Chiesa, un sacerdote e un diplomatico in cui il servizio di Dio, dei fratelli e per la pace del mondo si erano intrecciati in maniera fruttuosa. Quando era stato consacrato vescovo il cardinale Antonio Samorè aveva scelto come motto episcopale, lo stesso del Card. Giulio Alberoni: “Auxilium a Domino” ossia “L’ aiuto mi viene dal Signore”, fu questa la serena consapevolezza in cui visse e agì anche nei momenti di maggior difficoltà e impegno. Quando nel linguaggio comune si parla di un curiale o di un diplomatico e facile che in modo affrettato si pensi ad una sorta di burocrate che svolge in maniera meccanica un lavoro d’ufficio, occupato nel disbrigo di pratiche e incartamenti. Questo era certamente lontano dal modo di sentire del nostro cardinale, il quale ad un giovane collaboratore a cui erano caduti alcuni fogli d’ufficio disse seriamente e amabilmente: “Li raccolga e li tenga cari; quelle carte sana anime”. Lezione che lo stesso Samorè aveva imparato alla scuola di Pio XII e del suo maestro Tardini. II diplomatico non perdeva mai di vista il sacerdote. Quando nel febbraio 1993 il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, che da lui ricevette la consacrazione episcopale, commemorò il cardinal Samorè disse: “Egli ci ha insegnato che la diplomazia pontificia non e altro che una forma di amore per i popoli, un mezzo con il quale i Romani Pontefici si servono per collaborare per la pace e per le nazioni. E questo e stato lo spirito di servizio di cui ci ha lasciato un luminoso esempio. Il compianto porporato”. Il cardinal Samorè ricevette durante la sua vita oltre una sessantina di onorificenze da Capi di Stato e dai Gran Maestri di Ordini Cavallereschi, per i suoi meriti e per le sue opere umanitarie, sociali e culturali, pur apprezzando tutto questo, egli fu soprattutto sacerdote, vescovo, cardinale per amore di Cristo Signore e al servizio dell’umanità e della pace.

Profilo umano e spirituale.

Il cardinale Antonio Samorè poteva apparire a prima vista “un uomo distaccato e chiuso” anche perché era “parco di gesti e di parole”,. controllato, riservato e discreto. Passato, però il primo momento si scopriva che era “semplice, aperto e cordiale nel tratto e interessato ai problemi altrui”, anche delle gente più semplice o provata dalla vita, come i malati, gli emarginati, i carcerati. Quando poi si trovava tra persone care e amiche sapeva intrattenerle con gusto, confidenza e amabile cortesia, non priva di una vena umoristica e scherzosa. Intelligente, aveva approfittato degli anni di studio con diligenza e impegno, “aiutato da una non comune memoria; rapidità di comprensione dei problemi”. Tutto ciò lo porto con il tempo e l’esperienza a solidità di criterio nello studio delle questioni e relative soluzioni. Non rinviava, non dilazionava, ma affrontava i problemi, cercando di dare risposte sollecite e puntuali. Era di una “tenacia che appariva instancabile e, alle volle, quasi caparbia: quando la mole del lavoro compiuto o qualche disturbo di salute sembravano richiedere una pausa o almeno qualche rallentamento; chiarezza nell’affrontare situazioni o questioni le più complicate e straordinaria capacita di realizzazione”. Aveva un forte senso del dovere, e cercava sempre di agire con “una soprannaturale rettitudine di intenzione”: Era un lavoratore sodo e serio, umile ed esigente con se stesso e con gli altri. Il carattere di base era emotivo, ansioso, suscettibile e immediato nelle reazioni, se talvolta gli capitava di manifestare vivacemente l’irritazione che provava o di fare una sfuriata ai suoi collaboratori, non mancava poi prontamente di chiedere scusa e fare gesti di pronta riconciliazione. Aveva capacita di applicazione e di realizzazione e delle varie questioni che era chiamato a trattare, cercava di cogliere e comprendere non solo gli aspetti più significativi, ma anche i piu semplici, in modo di avere, per quanto possibile, un quadro completo e quindi valutare il da fare. Prudente e generoso nella spendersi, aveva un senso profondo della Provvidenza di Dio, che guida e conduce la storia degli uomini e che si serve delle creature che si lasciano guidare. Viveva tutto questo con fedeltà al Ministero sacerdotale. E’ stato detto di lui: “Il suo è sempre stato ministero sacerdotale, non un ufficio, un munus”. Aveva fatto sue le virtù che san Vincenzo de Paoli raccomandava ai suoi: semplicità, umiltà, mitezza, mortificazione e zelo per le anime. In questo modo il sacerdote “può farsi tutto a tutti, per tutti guadagnare a Cristo. L’Eucaristia celebrata con molta cura e adorata era il centro della sua giornata, la forza da cui traeva alimento per portare avanti il servizio che gli era affidato. Una tenera pietà mariana coronava la sua vita spirituale, si affidava all’esempio e alla protezione di Maria Mater Gratiae, a cui raccomanda pure l’ultimo respiro. Gustava il silenzio, il raccoglimento, la preghiera in cui si immergeva in maniera profonda e sentita, vi “trovava calma, serenità, gioia”. Il testamento da lui redatto, il 10 maggio 1981,indica chiaramente quali erano le convinzioni profonde del suo cuore: “Nel nome della Santissima Trinità rinnovo anzitutto il mio atto di fede: credo tutto ciò che Dio ha rivelato e la Santa Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana insegna. Esprimo al Signore .i più profondi sentimenti di riconoscenza per tutte le grazie, che si è degnato di elargirmi, gli domando perdono per tutte le mie colpe. Sono sinceramente grato a quanti, e sono moltissimi, mi hanno fatto del bene. Chiedo scusa a tutti coloro che, in qualsiasi modo, coscientemente o no, ho offeso e ai quali ho recato danno! Accetto volentieri quel genere di morte, che al Signore piacerà mandarmi”. Nelle ultime disposizioni rivelava con quali sentimenti di abbandono si rimetteva nelle mani misericordiose di Dio. Concludo con le parole del cardinale Agostino Casaroli: “Il forte spirito soprannaturale l’aiutava a superare qualsiasi difficoltà.

FINE

BY GIUSEPPE BEPPE CONTI FB

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