Dialetti emiliani, toscani, liguri, umbri. Presentazione 3° volume (comprensivo dei dialetti alta val Taro e Ceno). By D. Vitali. 1^ Parte.

Continuo a presentare i quattro volumi del mio libro “Dialetti emiliani e dialetti toscani”. Oggi tocca al terzo volume, “Dialetti liguri, Lunigiana e isole linguistiche”, dopo che nel primo volume ci si era occupati dei dialetti toscani e nel secondo di quelli emiliani. 7) Il capitolo 7 comincia descrivendo il genovese: infatti, il gruppo dialettale ligure si è formato attorno a Genova, centro che ha prodotto innovazioni linguistiche poi trasmesse ai dialetti circostanti, anche non appartenenti alla regione amministrativa odierna. Secondo lo schema consueto, si descrivono anzitutto la fonologia e la fonetica del genovese, basandosi sui lavori precedenti ma anche su una serie abbastanza ampia di interviste, nonché sulle registrazioni di attori dialettali classici come G. Govi e G. Marzari. Era importante disporre di diverse voci, anche di epoche diverse, perché, pur mantenendo la tradizionale impostazione fonologica che riconosce come distintiva in genovese la quantità vocalica, uno dei punti fondamentali della mia trattazione sta nel riconoscere anche l’esistenza della quantità consonantica, finora sempre trascurata perché non fonologica. Nel confrontare il genovese ad altri dialetti liguri, si mostra poi una tendenza moderna alla sua rifonologizzazione a discapito della quantità vocalica.Nel prosieguo, si presenta la morfosintassi, basandosi soprattutto sulla fondamentale “Grammatica del genovese” di Fiorenzo Toso. Vengono dati poi cenni lessicali, utili per caratterizzare ulteriormente questo dialetto. Fra queste ci sono la parte occidentale dell’alta montagna parmense (alte valli del Taro e del Ceno) e l’alta montagna piacentina. Queste zone, contrariamente all’alta montagna dell’Emilia centrale trattata nel secondo volume, parlano infatti dialetti non emiliani, ma liguri. La cosa, aldilà della consapevolezza delle popolazioni interessate che è ben netta (una volta ho anche assistito a una specie di gara “a chi è più ligure” fra compianesi e borgotaresi), mi sembra risulti bene dai dati raccolti e qui illustrati, a smentita della posizione classica di H. Plomteux secondo cui sarebbero liguri soltanto i dialetti che presentano il tratto genovese della “palatalizzazione avanzata” (che io, in onore al dialettologo belga di cui proprio quest’anno ho ereditato la biblioteca, ho chiamato “passaggi Plomteux”). Questa discussione, riassunta coi pareri dei diversi autori, consente anche di ragionare sul modo in cui vanno classificati i dialetti, in particolare se in base a una sola isoglossa oppure a una “particolar combinazione” di diversi caratteri, come voleva G.I. Ascoli. A me pare che questa impostazione ascoliana sia tuttora valida, aldilà delle divergenze su certi suoi risultati (come il riconoscimento “puramente glottologico” di nuove lingue romanze, come il francoprovenzale e il ladino: la questione sarà nuovamente toccata nel quarto volume).

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